Il dipinto murale più amato dall’artista e autrice Adriana Profita, e anche il più criticato, perché non capito, è senz’altro questa crocifissione, realizzata nel dicembre del 1998, nella sede dei Ricostruttori di Roma in via dei Quintili, nel grande salone delle conferenze. Un dipinto enorme, di dimensioni di circa 5×7 mt, che ti avvolge ma al tempo stesso ti proietta in una realtà inquietante e oserei dire scomoda da accettare: la sofferenza, in particolare la realtà della sofferenza ai giorni nostri, dove i protagonisti sono in modo principale dei bambini.
Le scene agghiaccianti saltano subito all’occhio e sono le prime a colpire la nostra attenzione: bambini che muoiono di fame, un bambino ebreo che viene fucilato da un soldato nazista, bambini che scappano inseguiti dai commercianti di organi e dai pedofili, lager, droga, prostituzione minorile. I bambini rappresentano le persone più indifese e fragili della nostra società e per questo i crimini verso di loro sono i più gravi. Ogni scena è descritta dall’artista con un realismo che rivela la sua abilità pittorica ma al tempo stesso è avvolta da un velo grigio-azzurro, come una nebbia di oscurità e tristezza, senza colori, quasi a sottolineare il senso di impotenza di fronte a tutte queste situazioni. Solo il rosa del vestitino della bambina che scappa, come a voler uscire dal quadro, si staglia da questa massa scura che la circonda. L’oscurità in realtà è divisa in due masse, a forma di triangoli, una a destra e una a sinistra, in una prospettiva che si estende all’infinito, dietro la figura incombente del Crocifisso.
È Lui in realtà il centro, il protagonista, sia per le dimensioni, che occupano tutto il dipinto, sia per la sua sofferenza, espressa dalla posizione del corpo, dalla testa nascosta, delle mani contratte. Proprio perché è enorme e al centro, sembra voler stare in mezzo a tutta questa sofferenza. E proprio perché soffre, da più di 2000 anni, e noi non comprendiamo il perché, è Lui che ci impressiona e ci interroga più di tutto il resto in questo quadro. I due personaggi ai piedi della croce, che si stagliano grigi in una dimensione staccata, si fanno portavoce di questa frustrante domanda e urlano il loro grido disperato: perché? Ecco il grande quesito dell’autrice: perché la sofferenza? E perché Tu non fai niente per impedirla? E perché Tu sei morto in questo modo per noi? a cosa è servito? il nodo cruciale del messaggio è proprio in questo enorme punto di domanda che non trova risposta, e nella figura del Cristo, lui sesso punto di domanda, che affascina tutti, da secoli, anche chi non crede.
Una possibilità viene proposta in alternativa a questo grido: la preghiera. Ai piedi della croce un cerchio di persone sta pregando in silenzio, in ginocchio o a gambe incrociate, e tra queste riconosciamo i volti noti di Gandhi, Padre Pio, Madre Teresa di Calcutta, un indiano d’America e altre persone volutamente di diverse nazionalità; infine il nostro carissimo Padre Cappelletto, fondatore dei Ricostruttori che ci ha insegnato la meditazione, e che sembra quasi condividere con tutti questi personaggi. Un cerchio di luce dorata avvolge i meditanti e riempie tutto il triangolo in basso al crocifisso, senza però toccare i due personaggi in primo piano ai lati della croce. Questi rimangono grigi, distaccati, ritagliati, come a non voler accettare questa soluzione. La preghiera non indaga il perché delle cose, eppure riesce a viverle nella fede e nella speranza. I due personaggi invece vogliono capire anche con la ragione e sono fuori da questa dimensione. La preghiera incontra il mondo spirituale che si apre in alto in un cielo pieno di angeli. La luce invade anche questo triangolo superiore e forma così una figura geometrica, composta da due triangoli luminosi superiore e inferiore e due triangoli scuri laterali, uguali e contrapposti in modo simmetrico, nella forma della croce di Sant’Andrea, simbolo dell’unione tra dimensione verticale e orizzontale, tra mondo spirituale e mondo materiale, , tra mondo ideale e mondo reale, tra bene e male, tra luce e tenebra. Cristo stesso è un incrocio tra le due dimensioni divina e umana.
Come nel tao il bianco e il nero sono in parte l’uno nell’altro, anche qui si tenta una unione. Gli angeli si introducono discretamente nelle due masse oscure, come a voler intervenire, in forza delle preghiere dei Santi e dei bambini. Gli angeli ci sono, sostengono, pregano, stanno vicini, proteggono, ognuno ha il suo, ma non si vedono, per cui noi siamo in un’altra dimensione rispetto a loro, e il più delle volte non li preghiamo e loro non possono impedire, non possono cambiare le cose. Perché? Ancora una volta questa domanda rimane in sospeso e volutamente lascia l’osservatore a riflettere di fronte al mistero, senza facili soluzioni, da solo..
Come solo è anche il Cristo sulla Croce, non capito, nei secoli, nonostante tutte le parole e le interpretazioni che possiamo dare e che la Chiesa più degli altri ha cercato di spiegare, nonostante questo la figura di Cristo rimane sempre un mistero. Forse solo quelli che pregano si possono avvicinare almeno un po’ di più alla verità, perché non usano la ragione ma l’intelligenza del cuore. Sicuramente l’esperienza di meditazione dell’autrice traspare in questo dipinto, che lascia comunque intravedere una speranza, una possibilità di pace, di bene, di aiuto, di collegamento con le forze superiori. Resta però irrisolto il suo quesito esistenziale.
Adriana Profita sostiene di essere stata ispirata quando ha dipinto quest’opera, che già le era apparsa come un’intuizione guardando una crocifissione del Tintoretto. Dice: “non mi è venuta dal cervello, ma dal cuore, mentre la dipingevo mi sentivo guidata”. In effetti un’opera così grande, realizzata in sole quattro settimane di lavoro, senza mai una correzione o un tentennamento, forse doveva proprio venire così.